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Il cigno nero

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Il termine “cigno nero” è tratto dalla frase del poeta latino Giovenale “rara avis in terris nigroque simillima cygno”. Questa espressione era utilizzata nelle discussioni filosofiche a indicare un fatto impossibile o perlomeno improbabile. Si basa sulla presunzione che “tutti i cigni sono bianchi”, affermazione che ha avuto un senso fino alla scoperta del cigno nero australiano Cygnus atratus da parte degli esploratori europei. Questo esempio dimostra come né il ragionamento deduttivo né quello induttivo sono infallibili. Un argomento dipende dalla verità delle sue premesse: una falsa premessa può portare a un risultato sbagliato e dei dati limitati producono una conclusione non corretta. Il limite del ragionamento secondo cui “tutti i cigni sono bianchi” è dato dai limiti dell’esperienza, la quale ci fa credere che non esistano cigni neri.

L’approccio del “cigno nero” è diverso rispetto agli approcci filosofici precedenti, in particolare dall’epistemologia, in quanto si tratta di un fenomeno con specifiche proprietà empiriche e statistiche che egli chiama “il quarto quadrante”. Il problema secondo Taleb è legato alle limitazioni cognitive del processo decisionale. Queste limitazioni sono due: filosofiche (matematiche) ed empiriche (pregiudizi umani). Il problema filosofico è relativo alla scarsità delle conoscenze a disposizione al momento dell’analisi degli eventi rari in quanto questi non appaiono nei campioni statistici del passato. Nel quarto quadrante la conoscenza è incerta e le conseguenze enormi.

Taleb sostiene che la proposizione “sappiamo”, in molti casi, è un’illusione, anche se necessaria; la mente umana tende a pensare che lo sa, ma non sempre si ha una base solida per questo delirio di conoscenza. Questa nozione che non sappiamo è molto vecchia, databile, almeno fino ai tempi di Socrate. Il metodo socratico di interrogativo e confessione di ignoranza è l’approccio giusto. Analogamente, ponendosi contro a chi ritiene che il progresso della scienza abbia reso il mondo perfettamente spiegabile, Taleb sostiene che pur essendo vero che la scienza ha aggiunto la conoscenza, noi corriamo sempre il rischio di vivere esperienze improbabili e rare con il rischio di essere scioccati da questa conoscenza ed esperienza o di non essere aperti a essa. Così le parole di Socrate contengono una grande verità: “so di non sapere”.

Taleb a questo punto mette in dubbio anche l’autorità degli esperti. Dato che la verità dietro la scienza è limitata e così come il metodo scientifico, la forza conferita a un tecnico o a uno scienziato da un diploma o una laurea viene corrosa. Infatti, l’autorità può soffocare l’esperienza empirica che, tante volte, ha dimostrato di avere una base solida.

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